Con grande piacere ospitiamo l'interessante contributo che Marco Maio, dottore forestale, ci manda a seguito del nostro articolo "Galateo in bosco" sul nostro blog.
Cara Marina,
ho letto le tue riflessioni in merito alla visione che hai del bosco.
Per quel poco che ti conosco, ho subito apprezzato l'approccio filosofico che hai avuto nel trattare un argomento quanto mai attuale e che suscita la curiosità anche degli addetti ai lavori, specialmente di coloro che vivono la foresta in quanto fonte di reddito.
Il mio percorso di studi all'Università di Firenze, mi ha formato culturalmente nel vedere il bosco non solo come un'entità economica che produce reddito, ma mi ha permesso di capire, anche attraverso le dinamiche ecologiche delle successioni primarie e secondarie all'interno di un ecosistema complesso, che la vita degli esseri viventi, a tutti i livelli, deve seguire necessariamente un equilibrio dinamico.
Con questo voglio dire che il bosco in quanto tale deve essere gestito e coltivato come se fosse una coltura agricola annuale o poliennale che sia. Ad esempio, un campo di erba medica, deve essere sfalciato più volte all'anno per mantenere la propria vitalità (produttiva); la vite deve essere ogni anno potata per produrre i nuovi frutti nell'anno successivo, ecc.
Per il bosco vale lo stesso discorso, i frutti sono rappresentati dagli incrementi legnosi che si depositano sul tronco o sui rami, chiaramente con tempi più lunghi rispetto alle colture agricole classiche.
Quindi la prima differenza è rappresentata dal tempo necessario per raccogliere il frutto che, nel modo forestale, è almeno di 20 -30 anni per i boschi cedui e oltre 50 anni nelle foreste di alto fusto.
In Italia, il problema dell'abbandono delle formazioni boschive non più coltivate, da un lato permette l'avanzare del bosco sui prati pascoli e seminativi abbandonati e l'aumento spropositato della massa legnosa (incrementi annui di massa legnosa) e dall'altro comporta la formazione di interi soprassuoli boscati non strutturati per forma di governo e trattamento. Pertanto, vi sono situazioni borderline, laddove, come nel caso dei boschi di Provaglio D'Iseo, si hanno situazioni di assoluta ingovernabilità, con rischi legati alla staticità degli alberi stessi, ma la cosa che più può preoccupare è la scarsa rinnovazione naturale (per seme) delle specie autoctone (carpini, ornelli querce, ecc.). Nel caso dei boschi cedui, la rinnovazione per via agamica (sviluppo dei polloni che nascono da una ceppaia tagliata l'anno precedente) avviene solo se il bosco viene utilizzato, ovvero viene gestito attraverso criteri di buona gestione forestale sostenibile. Laddove tale attività viene abbandonata si hanno situazioni di degrado che portano il bosco a destrutturarsi, ed essere soggetto a maggiori rischi quali schianti da vento, da neve, attacchi parassitari, elevato rischio di incendio. Se un bosco ceduo per millenni è stato coltivato secondo regole certe (taglio di utiliozzazione ogni 20-25 anni), nel momento in cui si abbandonano le classiche pratiche di coltivazione (taglio, allestimento ed esbosco controllato), allora si va verso un degrado qualitativo e quantitativo delle specie vegetali presenti all’interno di quel comprensorio.
Purtroppo, in Italia, la stragrande maggioranza dei boschi è di proprietà privata con un indice di polverizzazione fondiaria molto alto, dove vi son tanti proprietari anche per piccoli appezzamenti.
La gestione unitaria dei boschi diventa quindi un grande problema laddove ognuno è libero di fare ciò che vuole; è vero che ci sono norme regionali e nazionali che disciplinano tale ambito di intervento ma l'unitarietà gestionale attualmente è su base volontaria (consorzi forestali) e quindi può capitare che in un comprensorio più o meno vasto vi possono essere forme gestionali diverse in virtù di una miriade di proprietari/possessori, che applicano indirizzi colturali e gestionali diversi.
Paradossalmente le foreste meglio gestite sono quelle pubbliche (comunali o demaniali) aventi superfici superiori almeno a 100 ettari, in virtù di una norma risalente al 1923 (R.D. 3267/23) che imponeva ed impone tuttora, con nuove norme nel frattempo che si sono succedute, la realizzazione dei Piani di Assestamento forestale o Piani di Gestione.
Un Piano realizzato in ambito aziendale o sovra aziendale definisce nel tempo e nello spazio le modalità di gestione del bosco (alto fusto o ceduo), nel rispetto delle leggi specifiche; nel caso di specie, bisognerebbe capire se i boschi ricadenti nel comprensorio della Franciacorta (comunali o privati) sono gestiti secondo dei Piani che normalmente hanno una durata non inferiore ad anni 10. Da una ricognizione delle ortofoto storiche è evidente un aumento della copertura forestale, ma ciò non vuol dire che i boschi si trovano in uno stato di salute "buono".
Trovo molto interessante il passaggio del tuo scritto quando dici che "deve nascere da subito una nouvelle vague di tutela e di gestione dove pubblico e privato lavorino insieme". E' difficile che ciò accada, non tanto per le modalità di attuazione o di gestione del bosco, ma perché non vi è la necessaria cultura nel gestire un bene secondo regole condivise. I consorzi forestali pubblico privato funzionano laddove vi è un'attenta programmazione regionale, con fondi destinati a tale scopo.
Il mondo forestale nazionale risente, oggi più che mai degli effetti della globalizzazione selvaggia, molte imprese forestali italiane preferiscono importare il legname (da opera o da ardere) dai paesi balcanici a rezzi notevolmente più bassi rispetto a quelli italiani. Costa di meno importare legname dalla Romania che utilizzare un bosco posto nelle immediate vicinanze.
E' necessario quindi aprire un dibattito sul futuro dei nostri boschi, che fine faranno, come evolveranno in assenza di una gestione unitaria sostenibile; c'è molto da discutere e i temi di riflessione sono abbastanza coinvolgenti perchè il bosco oggi riveste una miriade di funzioni, tutte importanti e che riguardano il futuro del nostro Paese.
Concludo questo mio piccolo contributo condividendo l'idea, ormai diffusa nel mondo forestale italiano che "l'Italia è ricca di boschi poveri".
Cari saluti
Marco
Marco Maio dottore forestale e sindaco del comune di Baranello Molise
STUDIO FORESTALE MAIO
Via S. Maria
86011 - Baranello (CB) - ITALIA